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LA SCHIVATA
(L'ESQUIVE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 13 ottobre 2005
 
di Abdellatif Kechiche, con Osman Elkharraz, Sara Forestier, Sabrina Ouazani (Francia, 2003)
 
Esistono tanti modi d'interpretare la "schivata" del titolo. Quando si è adolescenti in una di quelle periferie dell'immigrazione a rischio di molti film francesi, c'è la schivata che consiste nel sfuggire alle liti con i compagni o agli scontri con le forze dell'ordine. Pure quelle, più intime, dell'impossibilità di raccontarsi, in famiglia o nella scuola. O, ancora, dell'evitare il coinvolgimento dell'amore, non fosse che quello di un bacio. Al suo secondo film dopo il già notevole LA FAUTE A VOLTAIRE, Abdellatif Kechiche si conferma non solo come uno dei grandi interpreti dell'animo dei giovani nel cinema contemporaneo; ma come uno straordinario indagatore dell'istante presente. Krimo, l'introverso bravo ragazzo di origine magrebina, Lydia, la maliziosa biondina pronta ad apirirsi ad ogni nuova esperienza, Frida, l'amica del cuore che si vorrebbe più dura e pragmatica ripetono "Le jeu de l'amour et du hasard" come saggio di fine anno scolastico. Ma l'imbranato Krimo, che con un sotterfugio si è fatto cedere il ruolo di Arlecchino da un più dotato compagno per sedurre Lydia, arrischierà di pregiudicare la recita. Non, in compenso, l'accostamento geniale che dominerà il film: quello fra l'universo (così discosto?) del Settecento prezioso fino alla maniera di Marivaux con l'altro della scottante, isterica situazione contemporanea. Anche questa ai confini di una sorta di manierismo, anche questa ancorata all'ineluttabilità della condizione sociale quando si tratta di emergere.

Socialmente e poeticamente esplosivo, in opposizione alla maggior parte delle pellicole del genere, L'ESQUIVE non si ferma però alle apparenze del sociale e del politico. Diritta al cuore degli individui come dei loro problemi, la lingua di Marivaux e l'argot quasi incomprensibile degli adolescenti contemporanei (il film è da intuire, non di certo da doppiare) si accostano in modo magico: per far risultare l'inalterata condizione di chi è nato servo e chi continua ad essere padrone. Straordinario documento d'immediatezza etnografica (ma mai di pretenziosità sociologica) il film si sdoppia in una osservazione accuratissima dell'intimo, in una indagine commovente dei minimi, sensibilissimi soprassalti psicologici, tipici dell'accesso all'età adulta. Poche volte il cinema sembra essere riuscito a cogliere le reazioni dei suoi straordinari attori, a lasciarli respirare con tanta irrefrenabile naturalezza (con i tempi che sembrano adattarsi alle necessità delle situazioni, mai al calcolo drammaturgico) come in quello di Kechiche. Il risultato è unico, affascinante e, con infinita grazia, assolutamente utile.


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